
Atena invece, figlia prediletta di Zeus e dea della Sapienza, pensò bene di conficcare per terra la sua inseparabile lancia che si trasformò all’istante in un gentile olivo, simbolo di pace e generatore dell’olio: utile non solo alla pelle ed al corpo, ma indispensabile per alimentare le lampade ed illuminare così la notte. Geniale!
Speriamo di non rovinarvi la suspence spoilerando subito che la gara fu vinta da Atena, portatrice di saggezza, e così la nuova città venne a lei intitolata: Atene, ovviamente.
I greci come sempre le sanno raccontare bene le storie, ma l’origine della cultura dell’olivo e dell’olio che se ne ricava è assai più antica. Si deve riavvolgere il nastro fino a 6000 anni fa per cominciare a sentirne parlare, quando in Siria si cominciò ad addomesticare questa pianta miracolosa.
Ma veniamo a noi: come ci è arrivato dunque l’ulivo e con esso l’olio d’oliva in Toscana?
Ma con gli Etruschi, naturalmente.
Un popolo che prosperò molto prima dei Romani, dalla cultura raffinatissima, ispirata per moltissime cose da quella dei suoi vicini, i Greci appunto. Gli Etruschi importarono probabilmente dalla Magna Grecia (la Sicilia) l’olivo e la vite, insieme ad un’altra pianta che oggi è il simbolo stesso di tutta la Toscana: il Cipresso.
Sembra incredibile pensare anche solo un’istante al paesaggio toscano privo di queste tre piante: olivo, vite e cipresso. Ma prima degli Etruschi era proprio così. Ecco quanto questo misterioso ed affascinante popolo ha influito sull’identità di questa regione e sulla sua stessa essenza.
Certo, oggi le cose sono cambiate molto e l’olio come lo intendiamo noi è piuttosto diverso dal prodotto in epoca antica.
Gli Etruschi ad esempio, come i Greci, più che mettere l’olio sull’insalata o sul pane abbrustolito lo preferivano spalmare sulla pelle. I suoi ingredienti preziosi e la sua consistenza viscosa era (ed è, ricordiamocelo!) una naturale barriera contro le aggressioni causate dal
sole, dal vento e da tutti gli altri agenti atmosferici. E poi il sapone non era ancora stato inventato, quindi si potevano miscelare erbe profumate all’intingolo con cui ci si sfregava per acquistare un buon (o quanto meno sopportabile...) odore.
E poi l’olio era usato principalmente come combustibile per le lampade, che erano ad olio appunto.
C’è però un oggetto che ancora ricorda questa antichissima origine etrusca dell’olio in Toscana: l’orcio di terracotta. Questi grandi contenitori per l’olio d’oliva vengono ancora realizzate nelle fornaci dell’Impruneta, a due passi dal Poggiale, rispettando la tecnica antica senza l’uso del tornio, e le sapienti mani dei mastri artigiani foggiano l’argilla seguendo forme e proporzioni vecchie di millenni. Purtroppo negli ultimi trent’anni gli orci sono stati sostituiti dai più pratici ed igienici bidoni in acciaio, perdendo molta della suggestione antica. In ogni caso non è raro trovare nelle cantine delle fattorie del Chianti le grandi “orciaie” di famiglia, un vero patrimonio di alto artigianato toscano.
Ebrei e cristiani gli attribuirono sempre una forte valenza mistica. Tutto ha origine in Palestina, dove l'olivo è coltivato sin dai tempi più remoti, ed è attraverso la Siria che il cristianesimo è giunto a noi (pensate che la prima comunità di cristiani a Firenze fu proprio di origine siriana).
Gli esempi sono innumerevoli.
Una colomba porta un rametto d’ulivo a Noè per annunciargli che il Diluvio Universale è terminato, e che Dio è finalmente in pace con gli uomini. Gesù passa la sua ultima notte nel Getsemani, l’orto degli olivi, e proprio lì inizia la Passione che lo porterà alla redenzione del mondo.
L’olio è sempre stato al centro delle liturgie ebraiche e cristiane, nonché l’ingrediente per l’ultimo gesto di spiritualità prima della morte: l’estrema unzione. La devozione per questa pianta speciale ed i suoi frutti non conosce momenti di sosta nella nostra storia, quella mediterranea.
Facciamo un salto di parecchi secoli e andiamo a Firenze, nei primissimi anni del 900.
"e su gli olivi, su i fratelli oliviche fan di santità pallidi i clivie sorridenti",
Scriveva Gabriele d’Annunzio ne “La sera fiesolana”, quando passava le sue serate a Settignano, sulle colline che ingioiellano ancora oggi Firenze di una argentea coperta di chiome d’olivo, riscoprendo quello spirito mistico dell’olivo condito con un tocco di laico francescanesimo.
Ma oggi? L’olivo in Toscana è talmente radicato nella cultura e nel paesaggio che - a parte i greppi dell’Appennino sferzati dalla tramontana o le coste rocciose a strapiombo sul mare - non c’è angolo di questa regione dove non se ne scorga una pianta.

L’arrivo dell’olio “novo” a novembre è una vera e propria festa che segue una faticosa campagna di raccolta, dove ancora oggi famigliari ed amici lavorano spalla a spalla per raccogliere i preziosi frutti e fare a gara per prenotarsi un posto al miglior frantoio di zona, anche a costo di arrivarci alle due del mattino dopo una lunga coda.
Ma il profumo che si sprigiona dalla fetta di pane calda al contatto con l’olio appena franto regala soddisfazioni che fanno dimenticare all’istante tutta la fatica e qualche volta il freddo patiti per guadagnarselo.
Ovviamente parliamo di olio ma intendiamo sempre extra-vergine, che preferiamo chiamare proprio “extravergine” anziché EVO (Extra Virgin Oil) come vuole la moda di questi tempi.
L’olio extra-vergine di oliva toscano è oggi protetto dalla Denominazione di Origine Protetta, all’interno della quale ricadono molte altre denominazioni o piccole associazioni di produttori che intendono difendere e ribadire l’unicità dell’olio prodotto nella nostra regione.
Nel Chianti Classico ad esempio da qualche anno è possibile certificare il proprio olio con l’inconfondibile galletto nero del vino Chianti Classico d.o.c.g., ma esistono oli eccellenti prodotti in questa zona che non hanno alcuna certificazione: la certezza di un prodotto buono e genuino la si può avere solo andando direttamente presso le piccole aziende che vendono l’olio come il più prezioso dei loro prodotti.
Esiste poi un marchio particolare, Laudemio, che raccoglie ventidue produttori dislocati non solo nel Chianti Classico ma anche nelle zone della Toscana più vocate per la produzione di extravergine, come il Chianti Rufina. Tutte le aziende, selezionate in base a parametri rigidissimi per qualità organolettiche e chimico-fisiche, hanno l’obbligo di imbottigliare il loro olio Laudemio nelle particolari bottiglie realizzate con vetro trasparente, per permettere di apprezzare la limpidezza ed il colore acceso di quest’olio speciale.

Anche Slow Food ha contribuito a questa riscoperta grazie al Presidio Nazionale dell’Olio Extra-Vergine di Oliva, che sostiene la coltivazione di antiche cultivar di olivo in via di estinzione, la coltivazione biologica e le peculiarità uniche di ogni singola zona d’Italia.
L’extravergine è diventato quindi una star del mercato eno-gastronomico italiano, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, non teme rivali tra gli altri paesi del Mediterraneo, dove si produce altrettanta eccellente qualità.
Ma non solo. Le sue proprietà cosmetiche, così tanto apprezzate dagli antichi, non sono state oggi dimenticate e possiamo trovare ottimi prodotti di bellezza a base di olio d’oliva: creme per il corpo, saponi, lozioni, l’extravergine ritrova oggi il suo posto anche nelle toilette delle signore, e grazie alle sue insuperabili virtù naturali ha spazzato via tutti quei prodotti di sintesi che gli hanno rubato il posto per molti anni.
Insomma, questo prezioso oro verde rivive oggi una stagione di rinascita, anche se nel cuore degli italiani, e particolarmente dei toscani, non ha mai cessato di occupare un posto speciale. Simbolo di pace, di rigenerazione e longevità, l’olivo e l’olio di oliva è molto più di un prodotto agricolo, è un paesaggio dell’anima di questa nostra splendida regione.
Autore: Marco Mocellin